Un corsivo pubblicato sull’ultimo numero dell’Economist spiega come il mito del “made in Italy” possa spesso trasformarsi da formidabile brand in un freno tirato per le nostre esportazioni di beni servizi ed idee. In particolare perché dietro al marchio “made in italy” si celano quasi sempre forti spinte protezionistiche.
La conclusione mia (e dell’economist) è che la speranza di crescita può solo stare nell’aprirsi maggiormente al mondo alle sue esigenze ed alle sue opportunità.
Riferimenti: