Actiss Italia – L’attrazione di aziende straniere

Actiss Italia, nell’ambito delle sue attività, aiuta le aziende ad ottenere aiuti pubblici per i propri investimenti. Ecco alcuni esempi di bandi nazionali e regionali per aiutare gli imprenditori esteri ad entrare in Italia.

Strumenti nazionali

I contratti di sviluppo:  sostengono investimenti di grandi dimensioni nel settore industriale, turistico ed ambientale, attraverso l’intervento cumulativo di contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso agevolato. La percentuale del contributo e del finanziamento è in funzione soprattutto della dimensione dell’impresa che propone il progetto. L’investimento complessivo minimo richiesto è di 20 milioni di euro. Per le attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli la soglia minima d’investimento si riduce a 7.5 milioni di euro. Sono valutate con priorità i progetti d’investimento che riguardano le aree svantaggiate del territorio nazionale

Strumenti regionali

Il contratto d’insediamento (regione Piemonte): lo strumento è volto ad incentivare nuovi insediamenti o espansioni di stabilimenti produttivi, centri di ricerca e centri servizi da parte di imprese a controllo estero, che generino nuova occupazione qualificata con la creazione di almeno 15 posti di lavoro addetti. Investimento minimo richiesto: 2 milioni di euro.
Beneficiari: Grandi imprese a controllo estero che intendono investire in Piemonte generando una significativa ricaduta occupazionale, anche in collaborazione con organismi di ricerca e/o PMI. Le Grandi Imprese possono essere finanziate per gli investimenti iniziali, a termini di normativa comunitaria, solo nelle aree cd. 107.3.c. del territorio regionale

Investimenti digitali (regione Emilia Romagna): La Regione Emilia Romagna ha chiuso lo scorso 30 settembre un bando che prevede contributi a fondo perduto, anche di rilevanti dimensioni, per promuovere investimenti in uno dei seguenti ambiti, e con la creazione di nuovi posti di lavoro

  • Big Data for Business;
  • Internet of Things;
  • Intelligenza artificiale;
  • Realtà virtuale e aumentata

Nella visione di aumentare ad attrarre le aziende estere sono in preparazioni altri bandi mirati per il biennio 2018/19.

Actiss Italia – il Transition Management

Da qualche tempo ho stretto un accordo di collaborazione con Actiss Italia. Actiss Partners è una società di matrice francese, che propone alle aziende sue clienti soluzioni concrete per supportarle in fasi di cambiamenti ed evoluzione.

L’esperienza maturata in anni di responsabilità a più livelli, in settori diversi e in contesti internazionali garantisce alta probabilità di ottenere risultati positivi con risorse immediatamente operative.

Ecco esempi di intervento da parte di Actiss:

  1. Temporary Management: Questa tipologia di missione unisce attività consulenziali ad un vero e proprio management operativo volto a garantire il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. Questi progetti includono le missioni di business development, internazionalizzazione, ristrutturazioni, ma anche supporto al lancio di nuovi prodotti, durante un passaggio generazionale o quando l’azienda deve affrontare e risolvere una situazione di crisi.
  2. Fusione & Acquisizione: Particolarmente adatto alle piccole e medie imprese e la loro internazionalizzazione, il metodo di ACTISS si basa, da un lato, sulla conoscenza approfondita dell’attività dei suoi clienti – che permette di accompagnarli anche dopo l’acquisizione / fusione – e, dal altro lato, su contatti diretti con investitori per sostenere la realizzazione e il finanziamento degli obiettivi specifici di M&A del cliente.
  3. Venture Development: Questa soluzione si rivolge in particolare a imprenditori, amministratori delegati e/o soci che vogliano posizionare la loro azienda su un percorso di forte crescita e che considerano la possibilità di rivenderla in futuro. Si rivolge anche a aziende più piccole poiché in questi casi, ACTISS opera ad un costo più contenuto e prendendo una piccola partecipazione al capitale dell’azienda.

Potete trovare Actiss su www.actisspartners.com. E se siete interessati ad avere ulteriori informazioni, contattatemi senza esitare.

Il mercato delle macchine utensili in Italia

Ad Hannover, da 18 al 23 settembre si è svolta la EMO. Si tratta della più importante fiera a livello europeo per il comparto delle macchine utensili. E’ una fiera con cadenza biennale che si svolge alternativamente in Germania ed in Italia, cioè nei paesi che sono sia i due principali produttori che i due principali mercati per le macchine utensili in Europa.

Dati relativi al mercato italiano

In questa occasione sono stati pubblicati da UCIMU, associazione italiana dei costruttori di macchine utensili, sia i dati relativi alla produzione sia quelli relativi all’andamento del mercato interno.

Questi dati non solo sanciscono l’uscita dalla decennale crisi economica avvenuta nel corso del 2015 / 2016, ma fanno essere ottimisti anche per il mercato della meccanica strumentale e dei beni di investimento per gli anni a venire.

Il mercato è cresciuto del 18.6% dal 2015 al 2016. Si tratta della crescita maggiore tra i primi otto paesi al mondo:

market growth 2016 vs 2015  market size 2016 (M€) 
China -0.2%                          24,772
USA +0.4%                             8,024
Germany +6.3%                             6,160
Japan +11.5%                             4,625
Italy +18.6%                             3,183
South Korea -7.7%                             3,180
Mexico +7.9%                             2,173
India +11.5%                             1,731

La produzione è aumentata del 6.4% e, per soddisfare la richiesta interna, le esportazioni sono calate del 4%.

Il trend della produzione continua ad aumentare e lo sfruttamento della capacità produttiva è passato dal 75% del quarto trimestre 2015 al 83% del secondo trimestre 2017.

Gli ordini ricevuti dai produttori italiani nel 2017 sono maggiori del 9.9% rispetto al 2016 con un aumento del 5.6% per gli ordini dall’estero e del 24.8% per gli ordini interni.

Interpretazione dei dati  e previsione

L’UCIMU, rappresentando i costruttori italiani nei confronti del governo e del mondo politico, da ovviamente molto rilievo all’influsso positivo sugli investimenti da parte delle iniziative governative denominate “Industry 4.0”, che agiscono con un alleggerimento fiscale per le aziende che investono in automazione.

Questo è certamente un fattore ma non credo sia quello dominante. Molto si deve anche alla situazione generale della economia mondiale, ma soprattutto ad un fenomeno tutto italiano. La maggior parte delle aziende della meccanica sono in mano a individui o famiglie. Negli anni della crisi solo le aziende performanti hanno resistito ed hanno continuato a fare utili. Nella situazione di incertezza generale, questi non sono stati impiegati, bensì accantonati.

Una volta usciti dalla crisi e con un mercato che richiede prodotti con maggiore contenuto tecnologico degli anni pre-2008, le famiglie industriali si sono trovate a dover investire, ma anche ad averne i mezzi, spesso senza dover attingere al credito.

La crescita del mercato italiano proseguirà nel medio termine, anche se non più in doppia cifra. Oxford Economics (interpellata da UCIMU) stima la crescita del mercato italiano per il 2017 in +10.6% contro il +3.6% dell’Europa, +3.5% del mondo e prevede una crescita più moderata per il biennio successivo.

Il Trentino offre interessanti opportunità.

L’Italia, a causa del suo alto livello di tassazione, della sua complessità amministrativa, di una burocrazia spesso inestricabile, dei freni alla competizione e dei costi relativamente alti che risultano da tutto quanto sopra elencato, non ha avuto negli ultimi anni successo nell’attrarre FDI (foreign direct investment = investimento diretto estero) rispetto ad altri paesi della U.E.

Nella seguente tabella alcuni dati comparativi:

FDI Stock
/GDP
FDI Inflow
/GFCF*
Italy 18.5% 6.8%
France 31.9% 8.2%
Germany 33.4% 4.7%
Austria 44.0% 4.6%
Spain 44.5% 3.8%
United Kingdom 51.1% 8.0%
the Netherlands 95.8% 48.9%
Switzerland 125.3% 43.6%
2015 data; source: santendertrade.com  
* Gross Fixed Capital Formation (GFCF) Measures the Value of Additions to Fixed Assets 

Il dato che conta è quello sullo stock totale di investimento straniero, che – se rapportato al PIL – in Italia è pari a metà o meno di quello dei principali paesi “concorrenti” nella Unione Europea.

Investire in Italia?

In questo quadro potrebbe apparire folle l’idea di proporre ad un investitore straniero un ingresso in italia. In realtà vi sono due specifici tipi di investimento raccomandabili.

Il primo è l’investimento necessario all’ingresso nel mercato italiano con i propri prodotti, ovvero la creazione di filiali, di organizzazioni di vendita, di centri logistici e tutto quanto serve ad entrare su di un mercato (talvolta anche una produzione locale).

Il secondo è la creazione di una filiale tecnologica per la ricerca e lo sviluppo. Questa opportunità viene proprio dalla mancata crescita della economia italiana, che lascia molte risorse senza sbocchi e tra queste anche molti giovani di qualità e con formazione tecnico-scientifica.

youth unemploymt.* lab cost per hour worked**
Italy 35.2%  € 27.40
France 23.6%  € 35.20
Germany 6.6%  € 31.80
Austria 10.7%  € 31.70
Spain 41.5%  € 21.00
United Kingdom 12.1%  € 22.20
the Netherlands 9.7%  € 33.50
* feb 2017 data. Source: statista.com  
** 2014 data. Source: statista.com  

Come si nota nella tabella non solo vi è una buona quantità di risorse disponibili, ma il costo del lavoro, pur non essendo tra i più bassi d’Europa, è inferiore a quello di molti paesi di riferimento.

Perché in Trentino?

La provincia autonoma di Trento anche tramite la società Trentinosviluppo mette in atto da diversi anni piani per attrarre investimenti proprio da parte di aziende che intendano porre in trentino i loro centri di sviluppo tecnologici.

Il trentino è una provincia/regione di circa mezzo milione di abitanti, con un PIL pro capite di 33,6 K€/anno, una disoccupazione del  6.9% ed una buona capacità di attrarre risorse umane (e non) da altre regioni italiane.

Ecco un elenco degli elementi di attrazione in ordine crescente di importanza per le aziende:

  • La posizione geografica: il trentino è un corridoio di collegamento tra l’Italia, l’Austria e la Germania. E’ facilmente e rapidamente raggiungibile dalle aree metropolitane norditaliane e da Monaco di Baviera.
  • La cultura ed il tempo libero: posta tra le Dolomiti ed il lago di Garda e con diversi parchi nazionali, la regione offre moltissime possibilità di svago e di svolgere attività sportive. Ma non si devono sottovalutare le opportunità culturali offerte, che vanno dal festival dell’economia di Trento al museo MART di Rovereto.

  • Rapporti con la pubblica amministrazione: l’autonomia della provincia lascia spazio ad una gestione da parte della locale amministrazione che risulta essere molto a favore dei business. Per cominciare il debito pubblico del Trentino gode di un rating “A” da parte di Fitch. Inoltre il livello di tassazione per le aziende è tenuto il più basso possibile, compatibilmente con le norme nazionali e inoltre per le aziende interessate ad investire, la provincia autonoma offre un “one-stop-shop”
  • La strategia che punta su meccatronica ed energia & ambiente: Trentinosviluppo S.p.A. è la società di proprietà della provincia autonoma che mette a disposizione delle aziende interessate spazi per uffici ed officine, servizi per le aziende, aiuto per i brevetti, aiuti per le start-up.
  • La disponibilità di risorse umane: la provincia autonoma cura molto la formazione di tecnici, ingegneri e ricercatori. Vi sono scuole tecniche superiori co-localizzate nel perimetro dedicato ai laboratori di meccatronica. L’università di Trento è la prima per qualità tra le università italiane di medie dimensioni. Due centri di ricerche (fondazione Kessler e fondazione Mach) curano la ricerca nei campi delle tecnologie, della scienza e della agricoltura.

Se siete interessati ad avere ulteriori informazioni, contattatemi senza esitare.

Project Management: Cosa è lo “scope creep” e perché occorre che gli obiettivi siano chiari per assicurare la riuscita di un progetto.

Un progetto di cambiamento, che si tratti dello sbarco su un nuovo mercato, del lancio di un nuovo prodotto o della sostituzione di un sistema informatico, può essere schematizzato come l’insieme complesso di azioni coordinate che portano da un stato di partenza “A” ad uno stato di arrivo “B”.

La definizione degli obiettivi

Quando si pianifica un progetto e ci si da un budget di costi e di tempo, si definisce l’ambito in cui operare. Ad esempio con quali prodotti entrare inizialmente su un nuovo mercato, oppure quali regioni geografiche aggredire inizialmente, o ancora quali funzionalità di un sistema informatico implementare e quali no.

Queste scelte sono fatte in modo da massimizzare i benefici e le probabilità di riuscita del progetto quando si agisca con tempi e risorse relativamente limitate.  Si lasciano poi a successive azioni (progetti o gestione ordinaria) l’eventuale allargamento dell’ambito e dei benefici del progetto ad altre aree (di prodotto, geografiche, di funzione)
Sulla base di questi obiettivi, si attribuiscono risorse adeguate, si crea un piano di progetto e lo si esegue.

Lo “scope creep”

Una volta che un progetto parte, nel corso della sua esecuzione è inevitabile che all’interno della organizzazione si vedano possibilità di aumentare i benefici oppure si notino dimenticanze nella definizione iniziale dell’ambito del progetto.

Le inevitabili richieste in tale senso, se non correttamente gestite portano a quello che gli anglofoni chiamano “scope creep”, cioè l’allargamento strisciante degli obiettivi.
E’ questo il più grande rischio per i risultati di un progetto. Se il project manager cede anche solo ad alcune richieste di questa natura è molto facile che un progetto ben gestibile si trasformi in un mostro di altissima complicazione, senza che ottenga un aumento di budget o più tempo a disposizione. Insomma il disastro è assicurato.

Come comportarsi

  1. L’ambito del progetto deve essere definito e condiviso con tutti gli interessati con grande attenzione nel corso dello studio preliminare.
  2. Le richieste a progetto in corso devono essere rigettate dal project manager in tutti i casi salvo quelli contemplati dal punto 3.
  3. Le richieste provenienti da alti livelli gerarchici nella organizzazione e le modifiche al progetto che appaiono assolutamente necessarie per una buona riuscita dello stesso devono essere decise (insieme alle eventuali variazioni di budget e/o di tempi) da chi ha attribuito al progetto le risorse ed ha approvato il piano iniziale. Tipicamente si tratta dello steering commitee.

Conclusione

La prima regola per la buona riuscita di un progetto è che non si cambiano le finalità in corso d’opera. Questo deve essere ben chiaro non solo al project manager ma anche e soprattutto ai livelli gerarchici superiori.
Le variazioni, che è sempre meglio evitare, possono essere introdotte, ma solo a patto di seguire i passi formali corretti, rivedendo il budget di progetto sulla base delle modifiche ed approvandolo a tutti i livelli aziendali necessari.

I collaboratori e l’organizzazione devono essere pronti

Nessun cambiamento può essere messo in atto se chi dovrà compiere le nuove attività e/o agire secondo le nuove regole non sarà pronto.

Gli aspetti linguistici nel passato

In passato molte PMI (ad esempio) della meccanica, sono entrate in mercati stranieri tramite la intermediazione di agenti locali che erano capaci di parlare in Italiano. Questa intermediazione commerciale, ma anche culturale ha permesso ad aziende in cui l’unica lingua parlata era il dialetto di raggiungere significativi mercati e culture lontani.

La soluzione ha avuto lo svantaggio di limitare le scelte di potenziali agenti e canali di distribuzione e di rendere le aziende dipendenti da questi personaggi.
La diffusione dell’inglese come lingua franca universale degli affari ha depotenziato queste figure professionali a favore di contatti più diretti tra offerta e domanda.

Ma basta avere due persone in azienda che siano capaci di rispondere al telefono in inglese? Si, se ci facciamo bastare una operatività minima. No in tutti gli altri casi.

Le capacità di comunicazione richieste oggi

Per portare ad un livello superiore la relazione con i propri interlocutori sui mercati, siano questi clienti diretti, siano agenti, siano filiali locali, occorre che tutte le funzioni aziendali siano capaci di comunicare nella lingua franca.
La complessità delle transazioni e delle negoziazioni oggi rendono necessario il coinvolgimento di uffici tecnici, di amministrazione, di logistica e non solo della funzione commerciale.

E’ solo una questione di lingua?

Temo di no.
Essere capaci di comunicare è un requisito fondamentale. Ma per agire sul nuovo mercato dovremo non solo comunicare e farlo con efficacia. La nostra organizzazione dovrà entrare in sintonia con i nuovi interlocutori, dovrà essere pronta a comprendere le esigenze dei nuovi clienti e farle proprie.
Insomma dovrà essere in grado di uscire dalla logica “noi” contro “loro” e da quei stereotipi usuali in tutte le aziende. I clienti sono clienti. La loro caratteristica è di custodire nelle loro tasche soldi che noi vorremmo fossero nelle nostre.

Conclusione

L’evolversi delle relazioni internazionali, dei nostri comportamenti e delle nostre conoscenze richiedono alle aziende, per competere con efficacia sui mercati internazionali, un livello superiore di relazione con le controparti locali.

Laddove una volta bastava una persona in azienda con uso di inglese (o francese), oggi occorre avere una intera organizzazione non solo capace di comunicare, ma anche volenterosa di entrare in relazione con le nuove controparti di ascoltare gli interlocutori.
Un buon livello di diversità aziendale può favorire questa capacità, e deve essere pianificata con anticipo, poiché occorrono tempi lunghi perché dia effetto.

La logistica è un elemento sempre essenziale per la riuscita del progetto di internazionalizzazione

Le soluzioni, come vedremo ragionando su tre esempi di merceologie, potranno variare parecchio. Vediamo tre casi in tre aree molto diverse dello spettro dei prodotti che potremmo voler esportare. Leggi tutto “La logistica è un elemento sempre essenziale per la riuscita del progetto di internazionalizzazione”

Il project management e l’ingresso in un nuovo mercato

Entrare in un nuovo mercato non è una attività di routine, come raggiungere un fatturato mensile o un margine lordo. Entrare in un nuovo mercato implica un cambiamento, implica l’ingresso in un’area (non solo geografica) di incertezza, implica il rischio di fallire, implica la necessità di gestire le aspettative.

Si tratta dunque di una attività di progetto e deve essere affrontata con la mentalità, con il metodo e con gli attrezzi del project manager.

Perché utilizzare un approccio da project manager?

  • Perché si minimizzano e si ritardano gli investimenti a rischio, spendendo solo man mano che si raggiungono maggiori certezze sulla riuscita finale del progetto
  • Perché si esplora in anticipo il terreno sconosciuto
  • Perché ci si danno obiettivi intermedi e si procede solo se questi sono raggiunti
  • Perché si tiene conto di tutti gli aspetti necessari (fattori di successo)
  • Perché ci si tiene sempre pronti a fare marcia indietro prima di fare danni, così come i piloti portano l’aereo all’atterraggio essendo sempre pronti alla riattaccata.

Come funziona questa metodologia?

Ecco alcuni princìpi che il bravo project manager tiene sempre ben presente:

  1. Il tempo “perso” nelle fasi preliminari di studio è tempo “guadagnato” con gli interessi in fase di implementazione;
  2. Il progetto è suddiviso in fasi successive di analisi e non si passa alla fase successiva se non si è conclusa favorevolmente quella precedente (vedremo più avanti);
  3. Tutti i rischi legati al progetto sono gestiti man mano che affiorano, ovvero vengono approntati piani d’azione da attivare nel caso le cose vadano storte,
  4. Il maggiore investimento ha luogo solo alla fine, quando si è ragionevolmente certi dei risultati positivi.
  5. Infine il bravo project manager potrà utilizzare tutti quei metodi, per la gestione di attività e risorse che lavorano in parallelo a diversi aspetti del progetto, che tutti conosciamo (Gantt, Pert, etc.).

 

 

Esempio di una suddivisioni in 4 fasi del progetto

  1. Ideazione:
    Fase di analisi (non necessariamente strutturata) interna alla azienda che porta alla decisione di provare ad esportare su di un dato mercato e che alloca un budget iniziale per effettuare uno studio di fattibilità.
  2. Verifica del concetto (studio di fattibilità):
    Si tratta di una verifica approfondita delle premesse anche sul campo ed eventualmente appoggiandosi a risorse/consulenti esterni all’azienda.
    Il risultato sarà un budget ed un project plan per la successiva fase di incubazione o di prototipazione
  3. Incubazione / prototipazione:
    Inizio di ingresso nel nuovo mercato trovando la migliore soluzione che permetta di minimizzare gli investimenti ed l’impegno ma di dare responsi utili a decidere se e come affrontare i passi successivi.
  4. Implementazione:
    Finalmente siamo pronti ad investire “seriamente”. Ma sappiamo anche esattamente cosa fare e come farlo.

In conclusione

Un approccio strutturato alla gestione del progetto non assicura che il progetto strategico di ingresso in un nuovo mercato abbia esito positivo. Assicura invece che siano evitati i disastri che potrebbero derivare da una cattiva esecuzione o, peggio, da  un tardivo riconoscimento delle difficoltà.

Più dettagli seguiranno nelle prossime newsletters.

Referendum Costituzionale

Al referendum di domenica 4 dicembre 2016ho deciso che voterò “si”. Una riforma che porti più vantaggi che svantaggi a me sta bene, indipendentemente da chi la promuove e da chi la osteggia.

Molti costituzionalisti hanno arricciato il naso. Loro l’avrebbero certamente scritta meglio. Questa riforma è frutto di un compromesso parlamentare tra le componenti che hanno deciso di parteciparvi. Come deve essere in una democrazia indiretta, si vota per ciò che è comparativamente meglio, perché la perfezione non sta sul menù.

Il primo punto a favore della riforma (sperando che non si annacqui troppo la legge elettorale) è la promessa di stabilità politica durante le legislature. I famosi e infallibili “padri costituenti” hanno posto a cinque anni la durata di un ciclo legislativo, ma avrebbe dovuto essere di un lustro anche la durata del ciclo governativo. Questo avrebbe permesso – come avviene in buona parte del resto del mondo – ai governi di introdurre le misure necessarie, ma impopolari nei primi due anni di legislatura per arrivare alle elezioni successive cogliendone i frutti. In Italia invece abbiamo avuto nel dopoguerra 63 governi, con una durata media di 1 anno e 45 giorni. Ecco perché una necessaria riforma delle pensioni è stata rimandata di venti anni e poi introdotta frettolosamente da un governo tecnico. Chiediamoci come mai le nazioni europee comparabili sono cresciute di più in questi anni.
Di questo elemento della riforma le opposizioni parlano come di “deriva autoritaria” e il governo pare vergognarsi a parlarne. Io invece la accolgo con piacere. Vorrei che chiunque venisse eletto – si anche … chiunque – si dovesse prendere la responsabilità dei risultati in capo a 5 anni. Le chiacchere e le scie chimiche volerebbero un po’ più basse.

Il secondo è il riequilibrio delle competenze tra stato e regioni. Sacrosanto. In un periodo in cui ho operato in seno a Confindustria ho avuto modo di riscontrare una delle assurdità della precedente devoluzione alle regioni, quella del commercio con l’estero, frutto di inefficienze e sprechi, con comitive regionali in giro per il mondo senza alcuna competenza sul commercio e di conseguenza con nessun beneficio per le aziende dei loro territori e per i loro contribuenti e cittadini.

La riduzione del numero dei senatori e l’eliminazione del CNEL, tanto sbandierati dal nostro presidente del consiglio, sono misure sicuramente positive, ma di priorità enormemente inferiore a quanto descritto sopra.
I risparmi direttamente legati al referendum? Risibili rispetto a quanto potrebbe portare la stabilità di governo.
E il fatto che non voteremo più per eleggere il senato? Vi do una notizia. Con la riforma il senato non esiste più (votiamo il nulla?). In compenso chiameremo “senato” un organo che ha molte similitudini con la odierna “conferenza stato-regioni” (che non mi pare io abbia mai eletto direttamente)

Qui un link ad un articolo interessante per chi volesse approfondire alcuni argomenti: http://www.ilpost.it/2016/12/02/bufale-referendum/

Il “made in Italy” e la lenta economia italiana

Un corsivo pubblicato sull’ultimo numero dell’Economist spiega come il mito del “made in Italy” possa spesso trasformarsi da formidabile brand in un freno tirato per le nostre esportazioni di beni servizi ed idee. In particolare perché dietro al marchio “made in italy” si celano quasi sempre forti spinte protezionistiche.

La conclusione mia (e dell’economist) è che la speranza di crescita può solo stare nell’aprirsi maggiormente al mondo alle sue esigenze ed alle sue opportunità.

 

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Riferimenti: